Verrebbe da dire: redditometro, istruzioni per l’uso. Ebbene si, perché lo strumento fiscale protagonista (soprattutto dal punto di vista mediatico) della paventata lotta all’evasione fiscale è un insieme di fasi, regole e gradini che presuppongono un minimo di comprensione e di conoscenza. In btal senso vediamo di riassumere le fasi attraverso cui dovrà passare il contribuente qualora ricevesse un controllo redditometrico.
La prima fase è la ricezione di un questionario, ove l’Ufficio richiede al contribuente dati e notizie sulla sua posizione, per verificare che il reddito da rilevare sia effettivamente corrispondete alla realtà.
Il contribuente, entro 15 giorni, deve depositare una propria memoria, quale risposta a tale questionario, facendo le sue eccezioni ed esponendo le motivazioni per le quali ritiene che le argomentazioni avanzate possano differire da quanto rilevato dall’Ufficio.
Nel caso in cui le argomentazioni esposte non dovessero ritenersi sufficienti o convincenti, l’Ufficio formalizza al contribuente un invito a comparire, avviandosi così la fase dell’accertamento con adesione.
In tale seconda fase il contribuente viene a conoscenza dell’entità della pretesa dell’Ufficio ed avrà dunque la duplice possibilità: aderire alla “pretesa”, con il pagamento delle maggiori imposte e contestuale riduzione delle sanzioni ad un sesto del minimo; oppure avviare il contraddittorio nel quale cercherà di far valere ulteriori elementi difensivi per ridurre così il carico tributario. Se non si riesce a trovare un punto di incontro, allora l’Ufficio notifica successivamente l’avviso di accertamento, motivando il mancato accoglimento delle proposte avanzate dal contribuente.
Da questo momento in poi scatterà la fase del contenzioso in cui, dinanzi alla competente commissione tributaria, il contribuente cercherà di far valere le proprie ragioni.
Il redditometro è un metodo di accertamento sintetico del reddito sulla base delle spese sostenute. Esso rappresenta uno strumento certamente utile per “stanare” gli evasori fiscali ma solo laddove lo stesso venga adoperato quale mero supporto per eventuali verifiche e controlli, tali da rideterminare la stima della ricchezza dei contribuenti.
Un primo problema è proprio che in tal caso il controllo parte dalle spese dei cittadini. Quest’ultime, a seconda dello stile di vita, possono essere davvero numerose e, a parità di reddito, differire da soggetto a soggetto. Una massa critica di informazioni che invece si contrappone ad un unico valore, appunto quello del reddito che, a prescindere dall’entità, è quasi sempre uno e dunque più facilmente identificabile.
Già da questa considerazione è facile capire che sarebbe sempre preferibile controllare a monte la fonte di guadagno dei cittadini (che è quasi sempre una) piuttosto che verificare le svariate modalità con le quali i redditi vengono spesi (decine e decine di modi).
In pratica, con il redditometro, la ricchezza si tassa laddove si spende e non viceversa, come sarebbe naturale, dove la stessa ricchezza viene prodotta. In tale ultimo caso si lavorerebbe molto meno ed i risultati sarebbero certamente maggiori.
Invece no, si è scelta la strada più lunga e tortuosa.
Le informazioni che così scaturiscono dalle indagini redditometriche sono facilmente falsate dagli stili di vita dei cittadini. Difatti è impossibile standardizzare lo stile di vita dei cittadini!!!
Si potrebbe avere il caso paradossale, che poi non è così estremo, del ricco possidente che spende meno del piccolo imprenditore o piccolo libero professionista, solo perché il primo ha una congrua ricchezza mobiliare ed immobiliare accantonata a differenza del secondo che invece deve ad esempio pagare il mutuo della casa o la rata della autovettura nuova. In tal caso è forse più facile che il secondo subisca un controllo da redditometro rispetto al primo.
Al di là del rischio-controlli, che è poi un non-rischio se non si è appunto evasori e non si ha nulla da nascondere, resta il dubbio sull’efficacia reale del redditometro quale strumento per stanare i “veri” evasori ed incidere realmente sull’evasione fiscale in Italia.
Siamo certi che l’applicazione di freddi moltiplicatori alle spese dei cittadini italiani sia la strada giusta? Non sarebbe preferibile utilizzare il redditometro solo per individuare gruppi di contribuenti a rischio e per i quali possa davvero valere la pena di avviare delle indagini e controlli dettagliati, quest’ultimi semmai basati sulla realtà dei fatti e non su mere congetture derivanti da moltiplicatori?
La propaganda mediatica finalizzata alla tax-compliance ci può anche stare. Il problema è che forse più dell’aspetto mediatico sarebbe invece necessario che gli uffici tributari si facessero vedere sul territorio, con la loro presenza effettiva fra la gente.
Questa è la vera tax-compliance ed allora, stiamone certi, non ci sarebbe redditometro che regge e l’adesione spontanea dei contribuenti sarebbe molto più marcata, con effetti più che positivi sul bilancio dello Stato.
I controlli dovrebbero infatti essere avvertiti dalla popolazione, sistematici e tali da poter stanare la vera patologia, ovverosia la ricchezza in nero, quella non registrata che non è quella che passa per le spese visibili e che puntualmente viene rideterminata.